Commemorazione eccidio di San Benigno 2 febbraio 2019

74° anniversario per ricordare le vittime della violenza nazifascista.

Commemorazione eccidio di San Benigno 2 febbraio 2019
Pubblicato:

Appuntamento fissato per sabato 2 febbraio 2019 ricorre il 74° anniversario dell’eccidio di San Benigno nel quale caddero 13 giovani, vittime della violenza nazifascista.

Santa Messa per ricordare l'eccidio avvenuto nella piazza di  San Benigno (Cn)

Alle ore 10.30, nella Chiesa Parrocchiale della frazione di Cuneo, verrà celebrata una Santa Messa in suffragio.

Al termine della celebrazione, dopo una breve sosta alla lapide che ricorda l'eccidio, verrà deposto un omaggio floreale al monumento ai gloriosi Caduti di San Benigno, alla presenza del civico Gonfalone e delle Rappresentanze delle locali Organizzazioni Partigiane.

La storia

Il 2 Febbraio a S. Benigno si festeggia il “giorno della Candelora”, ossia un rituale della Chiesa di purificazione di Maria Vergine in cui si benedicono le candele.  74 anni fa, era un venerdì  e molta gente, tra cui anche alcuni partigiani, si erano riuniti nella chiesa di San Benigno per assistere alla funzione delle dieci.

Così riporta un'intervista fatta a Bartolomeo Gallo, sopravvissuto alla fucilazione, su STORIE DIMENTICATE

"La chiesa e la piazza erano gremite di persone, più di duecento tra uomini, donne e bambini.

[...]

Rimasero in tredici contro il muro, tutti figli di contadini.  Dante Frezza disse: “Voi siete tutti delinquenti, tutti malfattori. Di notte andate a rubare, a uccidere, e adesso vorreste salvarvi?” e diede l’ordine di sparare. Caddero in dodici, Garro restò in piedi incolume. Allora Frezza diede ordine di sparare di nuovo e Garro fu colpito da un colpo di sten al torace. Cadde.

Il suo racconto: “Sento i gemiti, sento dei colpi singoli di mitra, sono i colpi di grazia. Infine un gran silenzio. Un fascista grida: ‘Signor tenente, questo vive ancora’. Cadendo in avanti ho battuto il mento, ho del sangue in bocca. Tento di alzarmi per riprendere un po’ il fiato, ma come butto avanti le mani per sollevarmi vedo che il tenente Frezza mi è vicino con il mitra. Sento un colpo, paf, e ricado giù. Perdo i sensi“. Ma Garro è fortunato. “Il tenente voleva colpirmi alla tempia, proprio nel momento in cui mi stavo muovendo, così la pallottola è entrata sotto l’orecchio destro ed è uscita sotto l’orecchio sinistro“.

I fascisti se ne andarono, la madre di Garro uscì dalla chiesa e vide il figlio con le mandibole spaccate, la lingua bruciata e un colpo nel petto. Nessuno ebbe il coraggio di soccorrerlo per più di due ore, nessuno ebbe il coraggio di muoversi, troppa era la paura dei fascisti e troppa l’impressione per la strage.

Garro fu soccorso da due padri di famiglia coraggiosi, Bartolomeo Gallo e Fantino, che chiamarono anche il medico di Tarantasca, Vezzosi. Il medico, prima di muoversi, chiamò Frezza: “Uno dei fucilati di San Benigno è ancora vivo. Mi chiedono di assisterlo. Posso medicarlo?“- Frezza rispose: “Lo medichi pure, lo guarisca. Visto che non è morto con le pallottole verrò poi a impiccarlo“.

Garro ci mise molti mesi a riprendersi, rimase nascosto nei fienili, fu operato alla mandibola su un tavolo da cucina, per fortuna aprile non era lontano. Dopo la Liberazione, il processo ai fascisti di San Benigno durò quattro mesi, Frezza fu condannato all’ergastolo ma uscì dopo poco e fu amnistiato.

Ma ancora non bastava: “Li conosco i fascisti che mi hanno fucilato, alcuni li incontro per le strade di Cuneo. Quando li vedo li schivo. Una volta ho incontrato quello che guidava il moto-sidecar e l’ho insultato. Mi voleva denunciare, mi ha detto: ‘Sono già stato condannato una volta, non mi condanni più tu. Stai attento perché ti mando in galera’“. Così andò il mondo, in Italia".

Nessuno scontò la pena

Il tenente Dante Frezza, il questore Rodolfo Banati, il geometra Piero Gertosio, assieme a tutti i partecipanti alla spedizione punitiva (36 in tutto), furono processati dalla Corte Straordinaria di Assise di Cuneo esattamente un anno dopo l’eccidio. La sentenza, fu emessa il 16 febbraio 1946, e comminava ai tre principali imputati la pena di morte per questo e altri delitti. A tutti gli altri pene variabili dai 25 ai tre anni di reclusione. Nessuno scontò la pena, per sopravvenute amnistie o per riduzioni di pena in successivi giudizi.

Seguici sui nostri canali